L'attività solare
L'attività
solare è causa di fenomeni strettamente connessi all'ambiente geo-magnetico
del nostro pianeta, che ne viene a volte fortemente influenzato. Per questo
motivo il Sole viene monitorato continuamente per prevedere l'insorgere di tempeste
solari, a volte pericolose per la qualità delle telecomunicazioni e l'integrità
delle apparecchiature elettroniche coinvolte. Nelle due immagini che seguono
(Fig. 1) viene presentata l'immagine solare SOHO del 25 ottobre 2003, in luce
visibile, a sinistra, e in raggi X, a destra. L'attività solare è
collegata all'esteso e articolato gruppo di macchie nell'immagine del visibile,
al quale corrispondono due importanti zone di attività in quella della
radiazione X, collegate ad una serie di particolari che rendono l'immagine X
molto più dettagliata dell'altra.
Fig. 1 Macchie solari nel visibile (arancione)
e corrispondenti zone in radiazione X (blu)
La radiazione X permette quindi di osservare
il fenomeno con una maggiore risoluzione, portandone in evidenza la grande dimensione
sulla superficie solare, ben oltre l'area relativa alla sola presenza delle
macchie nel visibile. Inoltre, il monitoraggio del Sole realizzato dal satellite
NOAA/GOES 15, permette attualmente di raccogliere livelli di intensità
adatti a tracciare l'evoluzione delle tempeste solari e, di conseguenza, dei
loro effetti sull'ambiente geo-magnetico della Terra. Nel diagramma seguente
(Fig. 2), è riportato il profilo della radiazione X nelle gamme da 1
a 8 Angstrom (rosso) e da 0,5 a 4 Angstrom (blu). Il grafico mostra l'emissione
per tre giorni consecutivi. Si può notare un flare XRA (X RAy event)
di intensità medio-bassa il giorno 22 ottobre 2011.
Fig. 2
Diagramma dell'emissione X del Sole. Nel giorno 22 ottobre 2011 si è
verificato un flare XRA di intensità medio-bassa. Dati del satellite
GOES15.
L'atmosfera della Terra viene influenzata dalla
radiazione solare ad alta energia, e manifesta fenomeni di ionizzazione nella
termosfera, dove si formano gli strati F2, F1, E e D, e che viene definita anche
ionosfera. La quantità di ioni positivi ed elettroni liberi negli strati
varia in funzione del grado di ionizzazione, e quindi della quantità
di energia ricevuta. Nella seguente Fig. 3 viene rappresentata la struttura
degli strati, la loro quota e il gradiente termico qualitativo in funzione dell'altezza
dal suolo. Lo strato F2 è sensibile alle variazioni X di breve periodo,
gli strati F1, E e D a quelle a lungo periodo, giornaliere, stagionali o annuali.
Lo strato D è solo diurno; E, F1 ed F2 sono diurni e notturni. La ionizzazione
raggiunge il massimo nello strato F2 che, durante la notte, risente anche dei
raggi cosmici.
Fig. 3
. La termosfera è sede dei più
importanti fenomeni di ionizzazione, per questo viene chiamata ionosfera.
La linea rossa indica la variazione qualitativa della temperatura in funzione
dell'altezza dal suolo.
Le radiotrasmissioni VLF (Very Low Frequencies)
L'energia irradiata da un'antenna radio si propaga nello spazio in modo non uniforme (Fig. 4); in parte genera l'onda di terra, che può penetrare nel terreno e nell'acqua, e che può raggiungere anche distanze di migliaia di Km nel caso di trasmissioni a grande potenza; in parte genera l'onda diretta, che viene irradiata tangenzialmente alla superficie terrestre, e che consente collegamenti generalmente limitati dalla curvatura terrestre o da ostacoli naturali; in parte genera l'onda spaziale, che si irradia verso la ionosfera. In quest'ultimo caso, quando gli strati ionizzati sono attraversati da onde radio, si possono verificare fenomeni simili a quelli, già conosciuti in ottica, della rifrazione e della riflessione totale; l'indice di rifrazione dello strato dipende dalla costante dielettrica e dalla permeabilità magnetica relative, e quindi dal rapporto tra i valori delle stesse costanti nel mezzo e nel vuoto. In queste condizioni l'onda spaziale, trasmessa da terra da una stazione trasmittente e deviata dalla sua direzione originale, ritorna verso la superficie terrestre, anche a grande distanza dalla sorgente, permettendo la ricezione, o una migliore ricezione, di un radiosegnale debole. Il contributo energetico coinvolto nei tre modelli di onda dipende dalla frequenza irradiata; nelle frequenze basse o ultra basse (KHz o Hz) l'energia viene trasferita in gran parte nell'onda di terra e, aumentando la frequenza (MHz), nell'onda spaziale, che però non viene più rifratta o riflessa a frequenze superiori ai 50 MHz. In generale, l'onda spaziale è sempre presente, anche se con contenuto energetico variabile.
Fig.
4. Rappresentazione schematica degli strati ionizzati.
Sono evidenziate
l'onda di terra e quella spaziale emesse da un trasmettitore. Gli strati ionizzati
hanno risposte diverse alla radiazione X incidente.
Da quanto esposto si può osservare che le onde radio possono dare indirettamente
informazioni sull'emissione X del Sole attraverso il loro comportamento, provocato
dalla ionizzazione degli alti strati atmosferici. In particolare, possono tracciare
i SID, (Sudden Ionospheric Disturbances), che si staccano dal valore medio di
ionizzazione, segnalando la presenza di un burst solare. La prima idea pionieristica
dell'osservazione dei burst solari in un dominio di frequenza lontano da quello
ottico è nata nel 1965 nella sezione Sole dell'AAVSO (American Association
of Variable Star Observers), ad opera soprattutto di radioamatori, che hanno
realizzato le prime raccolte di dati attraverso il funzionamento di un centinaio
di radioricevitori SID privati. L'interesse scientifico è risultato in
seguito rilevante, e attualmente l'attività è gestita dal Solar
Center dell'Università di Stanford, nell'ambito dei programmi supportati
dal National Science Foundation attraverso il Center for Integrated Space Weather
Modeling. La grande quantità di variabili in gioco, e la necessità
di valutare in modo scientifico dati omogenei, ha portato alla ricerca di trasmettitori
radio di potenza e frequenza conosciute e controllate, e di alta affidabilità
a tempi lunghi. Sono risultate idonee le stazioni militari di radio-collegamento
con i sottomarini, operanti nella gamma VLF (Very Low Frequencies), a frequenze
variabili da 18,2 KHz a 24,8 KHz. Queste stazioni sono tutte dotate di grande
potenza in trasmissione (da 20 Kw a 0,8 Mw), sono tenute in funzionamento continuo,
salvo brevi tempi di manutenzione, e risultano fortunatamente dislocate sul
pianeta in modo tale da risultare ricevibili da una grande quantità di
radioricevitori SID, certificati dall’Università di Stanford. In
Fig. 5 la dislocazione di alcune trasmittenti VLF.
Fig. 5 . Alcune stazioni trasmittenti VLF.
Date le basse frequenze operative, le lunghezze d'onda L in gioco sono molto
grandi, dell'ordine della decina di Km, e la trasmissione avviene attraverso
colossali antenne filari, a volte tese tra tralicci collegati tra coppie di
monti, come nell'esempio della Fig. 6.
Fig. 6. L' antenna di Jim Creek, tesa tra due monti.
Il
calcolo della lunghezza d'onda L deriva dalla formula seguente: |
---|
Fig. 7. Tipica forma d'onda di segnale sinusoidale.
La ricezione VLF con i dispositivi SID
La
ionizzazione atmosferica causata dal Sole inizia all'alba locale e termina al
tramonto locale, permettendo un collegamento diretto tra l'ampiezza del segnale
captato dai ricevitori SID e il livello di ionizzazione stesso, derivato dall'
irradiazione solare. Un ricevitore a frequenza VLF può allora diventare,
per via indiretta, uno strumento poco costoso, ma efficace, per il monitoraggio
dell'emissione X solare, e può portarne in evidenza l'andamento medio
e gli eventuali picchi di attività. Nei due diagrammi delle figure seguenti,
ambedue rilevati da un ricevitore SID, si possono notare i percorsi diurno (zona
gialla) e notturno (zona violetta), e quelli più brevi del sorgere e
del tramontare del Sole (zona arancio). Qui sono presentate due diverse situazioni
di attività solare. Nella prima (Fig. 8), riferita a un giorno di Sole
quieto, il valore medio della sezione di diagramma che va dal sorgere al tramonto
(zona gialla), raggiunge il massimo livello a mezzogiorno locale, al centro
del diagramma stesso, seguendo un percorso che si incurva verso l'alto. Questo
comportamento non è costante a lungo termine; può essere influenzato
da disturbi momentanei o da variazioni stagionali della ionosfera, incurvandosi
anche verso il basso.
Fig. 8. Diagramma
giornaliero tipico del livello di eccitazione della ionosfera, senza burst XRA.
Fig. 9. Diagramma
giornaliero tipico del livello di eccitazione della ionosfera, con il rilievo
di alcuni burst XRA.
Nella seconda (Fig. 9), riferita a un giorno con il Sole attivo, si può
vedere un diagramma tipico sul cui percorso medio si elevano 4 segnali XRA,
(X RAy events) corrispondenti ad altrettanti flares solari, segnalati e quantificati
anche dal satellite GOES15 in alcune classi di intensità di picco emessa;
qui risultano la classe C e la M, rilevate nell'intervallo spettrale da 1 a
8 Angstrom (0,1 a 0,8 nm), e il numero moltiplicatore che segue la lettera maiuscola
posiziona l'ampiezza del flare all'interno della sua classe.
La tabella seguente dà uno schema completo delle classi usate e delle
intensità di picco nel sistema MKS, relative all'intervallo spettrale
considerato e misurate “at Earth”. I flares di classe B sono i più
frequenti ma molto deboli; non sono rilevati dal ricevitore modello SID la cui
sensibilità è tarata per la ricezione del valore di intensità
minimo di C1,0. Sono però alla portata di ricevitori superSID e AWESOME
di ultima generazione e più sensibili. Quando il sole è mediamente
attivo nei raggi X la classe C si può presentare con frequenza giornaliera,
la classe M settimanale e la classe X mensile. Naturalmente sono indicazioni
statistiche, legate al ciclo solare di 11 anni. La frequenza può essere
minore all'inizio del ciclo, e maggiore in prossimità del massimo. Un
burst XRA può avere intensità sufficiente per disturbare le radiocomunicazioni;
a volte può avere valori tali da impedirle, o danneggiare circuiti elettronici.
Classe
|
Intensità
di picco (W/mq) |
---|---|
B |
<
10^(-6) |
C |
10^(-6)
< I < 10^(-5) |
M |
10^(-5)
< I < 10^(-4) |
X |
>
10^(-4) |
Classificazione
e intensità dei flares solari XRA ( gamma 1 - 8 Angstrom )
Nota
1 |
---|
Nota
2 |
---|
Nota
3 |
---|
Il radioricevitore SID
Da quanto detto fino ad ora si può immaginare la funzione di un ricevitore SID: rilevare l'ampiezza del "segnale complessivo" ricevuto da un potente trasmettitore VLF attraverso la riflessione nella ionosfera, e che è costituito da una portante VLF modulata da un altro segnale, che costituisce l'informazione da trasmettere. Ovviamente tale informazione è segretissima e codificata, per cui non c'è la necessità di separarla dalla portante in quanto sarebbe comunque incomprensibile. Viene quindi amplificato e rivelato quello che è stato definito il "segnale complessivo", e un semplice ricevitore AM (a modulazione di ampiezza) opportunamente modificato può essere adatto a questa funzione; vi sarà una semplificazione dovuta al fatto che non esiste il problema della sintonia, in quanto viene ricevuta una sola frequenza portante. Non c'è la necessità di avere, come in un normale ricevitore AM supereterodina, un oscillatore locale che realizzi la conversione di frequenza con la portante e generi la MF (media frequenza), che sarà poi ulteriormente filtrata e demodulata, per avere il segnale di BF (bassa frequenza) che alimenterà lo stadio finale audio. Nel nostro caso (vedi Fig. 10), il segnale di antenna viene amplificato, filtrato e rivelato con un circuito rettificatore a onda intera, per produrre un livello variabile di tensione DC in uscita che, digitalizzato attraverso un convertitore A/D (analogico/digitale) collegato a un computer, permetta di trasferire i valori di ampiezza su una porta. Il software realizza la campionatura del segnale digitale, la sua organizzazione in un diagramma giornaliero, aggiunge al diagramma i dati identificativi, la Latitudine e la Longitudine del sito di ricezione, e invia il tutto in Internet al sito dell' Università di Stanford, che provvede all'archivio, alla sovrapposizione dei dati del satellite GOES15 sul diagramma originale, e alle valutazioni scientifiche.
Fig. 10. Schema a blocchi di un radioricevitore SID
Nelle seguenti Fig. 11, 12, 13 sono presentati i componenti, definiti dall'
Università di Stanford, per un tipico setup SID, computer escluso.
Fig.
11 Fig. 12. L'antenna a telaio Il convertitore A/D
Fig.
13. Il radioricevitore SID
Umberto Bazzani
Bibliografia
. Documentazioni varie sul sito sid.stanford.edu
. Dati NOAA sul sito n3kl.org
. Fonti varie web per radiotecnica, elettronica ed antenne radio
. Nerio Neri Radiotecnica per radioamatori